Una nuova era

Nell’eterna tensione tra mosse e contromosse, innovazioni tattiche e tentativi per arginare il nuovo, dall’evoluzione del ‘calcio posizionale’ sembra essere incominciata l’epoca del ‘calcio relazionale’.

Lo sport, da secoli, coinvolge, appassiona e intrattiene le folle; c’è qualcosa di affascinante e mistico nell’inesorabile ricerca del superamento di un limite che ci porta a riempire gli stadi o a emozionarci davanti a un televisore, assaporando gioie e delusioni dei nostri eroi. Gli sport di squadra, in particolare, sono plasmati da questa spasmodica ricerca di miglioramento della performance, scontrandosi spesso con la variabile più importante all’interno di queste discipline: lo spazio.
Ecco allora che in decenni di evoluzione queste discipline sono state rivoluzionate da idee, cambiamenti e innovazioni che si sono ciclicamente sedimentate definendo delle epoche ben distinte. Queste rivoluzioni però non si sono ‘accontentate’ di ridefinire confini e paradigmi della propria epoca, ma hanno innescato col tempo reazioni e aggiustamenti per aggirare il sistema, limitandone i pregi ed esponendone i difetti, dando vita a controrivoluzioni che a loro volta hanno finito per definire un’epoca, creando con ciò un circolo virtuoso grazie al quale lo stimolo portato da un cambiamento tende a innovare il sistema stesso.

Senza andare troppo indietro nel tempo, una delle più grandi innovazioni calcistiche -soprattutto dal punto di vista difensivo – è stata la rivoluzione sacchiana di fine anni Ottanta. In un’epoca in cui i riferimenti erano tutti a uomo, la capacità delle squadre di Sacchi di muoversi collettivamente e di difendere gli spazi, invece che gli uomini, ha cambiato il calcio. All’inizio Sacchi veniva visto come un marziano. Non era stato un grande giocatore e non aveva vinto o allenato grandi squadre prima del Milan; per questo il mondo del calcio era molto diffidente nei suoi confronti. Ma aver costruito una delle squadre più forti di tutti tempi, grazie ovviamente anche all’acquisto di grandi campioni, ha reso Sacchi il maestro a cui molti, se non tutti, hanno iniziato a ispirarsi. Prima ci sono stati pochi discepoli che hanno cominciato a giocare a zona e a difendere gli spazi, ma con il passare del tempo tutte le squadre italiane ed europee – se non mondiali – hanno iniziato ad avere questa forma collettiva di difesa.
C’è stata l’esplosione del 4-4-2 in linea, ma i principi della zona hanno oltrepassato i moduli: anche le squadre che difendevano a cinque avevano i compagni, la palla e la porta come principali riferimenti, difendendo lo spazio.
Un dato eclatante e unico nella storia del calcio sono i fuorigioco provocati con cui il Milan di Sacchi, nel novembre del 1989, ha passato il turno al Bernabeu contro il Real Madrid della Quinta del Buitre, mettendo i Blancos per ben ventitré volte (23!) in fuorigioco. All’apice della rivoluzione di Sacchi, ai Mondiali di Italia ‘90 ci furono in media diciotto fuorigioco a partita; ora non si superano i quattro.
Gli attacchi hanno faticato molto ad adattarsi, ma con il tempo diversi allenatori hanno iniziato a studiare e capire gli spazi maggiormente esposti da queste tipologie di difesa. Se difendi gli spazi, in qualche modo sei studiabile. Posso analizzare la tua struttura posizionale difensiva e capire quali spazi difendi e quali concedi (il campo è troppo grande per poter essere interamente difeso).

La ricerca di una contromossa per eludere questa strategia difensiva arriva con il calcio posizionale, sublimato da Guardiola al Barcellona nel 2008. Erede del calcio totale di Michels all’Ajax e di quello di Cruijff con lo stesso Barcellona, e ancora ispirato anche dall’Ajax di Van Gaal, il calcio posizionale di Guardiola rielabora in maniera quasi scientifica i principi olandesi e teorizza fra le altre cose i cinque canali offensivi per andare ad occupare gli ‘half spaces’. Gli ‘spazi di mezzo’ si riveleranno con il tempo la kriptonite del 4-4-2 sacchiano a zona, andando a mettere in difficoltà sia i centrali avversari, indecisi se uscire sul trequartista e lasciarsi spazio alle spalle, sia i terzini avversari, che invece erano in un costante due contro uno, con lo stesso trequartista e l’ala di parte.
Il calcio posizionale – e più in generale l’approccio posizionale – ha così dominato il mondo per una decina di anni, praticato da diverse squadre con alcuni dei più grandi allenatori e giocatori al mondo. Però i benefici portati da questi posizionamenti che sfruttano gli spazi tra i reparti – e che ricercano scientificamente vantaggi con la costruzione bassa, gli smarcamenti alle spalle dei centrocampisti avversari per favorire la ricezione di passaggi chiave tra le linee e l’ampiezza opposta, per isolare degli uno contro uno con i cambi gioco – hanno anche in questo caso stimolato la ricerca di contromisure e contromosse che nel tempo hanno portato la fase difensiva a considerare meno il reparto e più l’uomo, proponendo così un calcio più aggressivo, modificando le geometrie a disposizione degli avversari, diminuendo tempo e spazio per la giocata e togliendo quei riferimenti che tanto profitto avevano portato al calcio posizionale. Ritroviamo questo stile aggressivo non solo nelle squadre del ‘man marking’, dal Leeds di Bielsa agli straordinari risultati ottenuti dall’Atalanta di Gasperini, ma anche nella scuola tedesca, con allenatori come Rangnick, Klopp, Nagelsmann e Tuchel che hanno adottato principi difensivi aggressivi, mettendo forte pressione alla palla, difendendo l’area prima che la porta, orientandosi quindi prima su pallone e avversario che sul reparto.
Se uno dei grandi vantaggi del gioco posizionale consisteva nell’occupare zone nevralgiche, con spazi preconfezionati in cui creare vantaggi per la propria squadra e disagi al sistema difensivo avversario, la contromossa non poteva che stare nel modificare e ridefinire quegli stessi spazi; citando Spalletti, infatti, “non esistono più gli spazi tra le linee, ma tra i singoli giocatori avversari”.
Le difese ora vanno maggiormente sui riferimenti; non solo il pressing aggressivo uomo contro uomo, ma anche le linee d’attesa (soprattutto a centrocampo) stanno sugli uomini. L’esplosione della match analysis, con particolare riferimento allo studio degli avversari, ha accelerato questo processo: oggi più sei posizionale e più faciliti il lavoro dello staff avversario che, soprattutto se vuole giocare una partita reattiva e di opposizione, si contrappone ad incastro in maniera molto facile.
Questi cambiamenti difensivi stanno portando ad ulteriori cambiamenti offensivi: per rispondere alla difesa sui riferimenti è necessario avere più movimento e quindi strutture più fluide e meno simmetriche.
Ed ecco allora che quella continua tensione fra difesa e attacco provoca evoluzione. Le squadre e gli allenatori si studiano e i modelli di gioco più interessanti e vincenti prendono piede. Se quindi la zona di Sacchi ha stimolato il passaggio al calcio posizionale, che a sua volta ha condizionato un ritorno alle difese a uomo, queste ultime stanno ora ispirando nuovi stili offensivi. E così via, in un ciclico susseguirsi di evoluzioni e adattamenti… Perchè il calcio è uno splendido sport complesso, sempre in evoluzione anche per questa bellissima tensione.

TRA POSIZIONALE E RELAZIONALE: L’EVOLUZIONE
Arriviamo pertanto all’esplosione di nuovi modelli di gioco che non prevedono strutture posizionali rigide, ma dinamiche e fluide, con forme asimmetriche e densità in zona palla. Le squadre che più di tutte stanno portando avanti questa idea sono la Fluminense di Diniz in Sudamerica e il Malmoe di Rydstrom in Europa. Ma anche l’Argentina di Scaloni ai Mondiali del 2022 ne è stato un ottimo esempio.
Possiamo chiamare questi nuovi modelli di gioco ‘relazionali’, perché maggiormente incentrati sulle relazioni fra i giocatori. È evidente che di relazioni ne è pieno l’intero gioco del calcio e qualsiasi modello di gioco ha al suo interno delle relazioni. Ma la grande differenza è che, mentre nel calcio posizionale si sviluppano potenziali relazioni a partire dalle posizioni, nel calcio relazionale si sviluppano potenziali posizioni a partire dalle relazioni. Sembra una differenza filosofica, ma non lo è. Banalmente, nel calcio posizionale l’elemento più importante è la posizione dei giocatori. Si studia la struttura difensiva di una squadra e si decidono i posizionamenti e, in generale, la struttura offensiva posizionale della propria squadra. Dunque il focus nel calcio posizionale rimangono le posizioni; da qui in poi si sviluppano movimenti e relazioni. Ma come abbiamo visto le contromosse sono sempre più frequenti e dunque impostare una squadra più fluida e dinamica, con maggiore libertà per i giocatori e con maggiore attenzione alle caratteristiche dei singoli, sta dando e darà sempre più risultati. Nel calcio relazionale, quindi, il focus si sposta sulle caratteristiche dei giocatori e sulle loro relazioni; da qui nascono poi eventuali posizionamenti. La differenza non è teorica, ma sostanziale.
Oltre alla Fluminense e all’Argentina di Scaloni, anche in Europa abbiamo avuto ottimi esempi che, in misura diversa, hanno cercato di attingere a questi principi: dall’Arsenal di Wenger all’Ajax di Ten Haag, dalle varie versioni del Real di Ancelotti fino ad arrivare al Napoli di Spalletti. Le due correnti di pensiero (posizionale e relazionale / funzionale), a prima vista così distanti tra loro per visione e interpretazione, hanno fatto fiorire i primi casi di fusione tra le due stesse correnti di pensiero.
In questa stagione stiamo osservando come elementi del calcio relazionale si stiano integrando dentro squadre che partivano da un modello più posizionale. Fra le altre: in Italia l’Inter di Inzaghi e il Bologna di Motta; in Europa il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso, lo Sporting Lisbona di Amorim e il Benfica di Schmidt. In Asia abbiamo l’Al Hilal di Jorge Jesus, che sta giocando un gran calcio con ottimi risultati.
La sintesi di cui si sta parlando prevede di portare, all’interno di sistemi più rigidi, dinamicità, fluidità e maggiore libertà, nel rispetto delle diverse caratteristiche dei giocatori a disposizione.

Si vedono sempre più strutture con alcuni giocatori fissi e posizionali, e altri maggiormente liberi e relazionali. Immaginiamo per esempio un classico 3-5-2 in fase offensiva, come nella figura 1 sopra.
Alcuni giocatori sono calciatori fissi e posizionali, e potremmo definirli ‘perimetrali’, prendendo in prestito il termine dal basket. Parliamo dei tre difensori centrali, dei due esterni e di una punta, per un totale di sei giocatori sui dieci di movimento (sono i giocatori rossi nella figura 1).
I giocatori rossi e perimetrali, garantendo l’ampiezza e la profondità, definiscono la struttura e l’area della stessa, allargandola e restringendola, dilatando e definendo il volume entro al quale disordinare e sovraccaricare l’avversario.
La struttura infatti ha un’importanza chiave nello sviluppo delle azioni, nel controllo del gioco e nell’eventuale immediata riconquista della palla. Sviluppando dal centro, con una costante attenzione all’attacco della profondità e uno sfogo in ampiezza che permetta di aprire e attirare gli avversari, posso ritrovare dei riferimenti e degli automatismi che permettono ai singoli giocatori di muoversi autonomamente all’interno non di un perimetro congeniale allo scopo del gioco. La definizione del perimetro è quindi una priorità che non deve diventare un limite. Infatti, oltre alla possibilità di ribaltare il gioco nel lato debole (specialmente negli ultimi trenta metri) posso dilatare l’area interna nella quale sviluppare le azioni e il range di movimento dei singoli giocatori.
All’interno dell’area determinata agiscono infatti i giocatori liberi e relazionali che hanno totale libertà di movimento. Sono i tre centrocampisti e la seconda punta/trequarti (in blu nella figura 1). Questi giocatori spaziali e relazionali sono liberi di muoversi, di associarsi e di creare superiorità con densità in zona palla anche se non soprattutto in forma asimmetrica. Questa libertà migliora i giocatori, li responsabilizza e li sfrutta maggiormente per le loro caratteristiche. I giocatori blu sono infatti giocatori liberi e incentivati a sovraccaricare la zona palla per linee di gioco e disordinare gli avversari. Sta a loro leggere, interpretare e manipolare lo spazio a disposizione, creare quindi superiorità attorno alla palla, togliere riferimenti e disordinare la struttura difensiva avversaria. Un giocatore spaziale può anche ampliare il perimetro stesso con movimenti di apertura/profondità.
Ovviamente questo è solo un esempio; a seconda della squadra, delle caratteristiche dei giocatori e del livello raggiunto, ci saranno strutture con più o meno giocatori perimetrali e più o meno giocatori spaziali. Più aumenta il numero dei giocatori spaziali e maggiormente avremo dinamicità e fluidità. Si tratta di un’ottima risposta alle marcature a uomo che vanno in grande difficoltà contro il movimento continuo dei giocatori interni, creando queste zone asimmetriche di superiorità: queste stesse marcature a uomo, se volessero continuare a seguire i movimenti, disordinerebbero infatti totalmente la propria struttura difensiva.
Le caratteristiche dei giocatori perimetrali e di quelli spaziali sono molto diverse: questi ultimi, per esempio, sono giocatori molto più associativi, bravi negli spazi stretti e solitamente tecnici.
Per facilità di interpretazione e divulgazione ci si è concentrati sui giocatori di movimento; ovviamente, in fase di possesso, il portiere è però un elemento fondamentale: un giocatore perimetrale che svolge il ruolo di scarico e che partecipa attivamente alla definizione della struttura di gioco.
L’allenatore in questo caso diventa un facilitatore di relazioni e movimenti, senza più essere il direttore d’orchestra che tutto dirige e pensa di controllare. E qui arriva una delle grandi sfide di questa evoluzione: accettare di delegare movimenti e posizioni più o meno casuali ai giocatori. In realtà, anche nel calcio posizionale le scelte e i movimenti vengono poi decisi quasi sempre dai giocatori in campo (per fortuna, aggiungo), ma c’è comunque l’illusione del controllo. Appunto, un’illusione: perché poi, in uno sport situazionale come il calcio, l’elemento casuale è un assoluto protagonista. Troviamo esempi di questi posizionamenti e movimenti in due delle squadre che più hanno stupito nella stagione corrente, il Bologna di Thiago Motta e il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso.

La squadra emiliana infatti, partendo da un 4-3-3 / 4-2-3-1 (vedi la figura 2 sotto), produce un gioco innovativo, fatto di connessioni e movimenti interni. Sono molto interessanti gli smarcamenti a salire dei difensori centrali (Calafiori e Beukema o Lukumì), le rotazioni dei centrocampisti e gli attacchi alla linea delle mezzali (Ferguson o Fabbian) sui movimenti incontro della punta (Zirkee), il tutto fissando l’ampiezza con le ali (Orsolini e Salameekers) e tenendo i terzini in posizione di
costruzione e accompagnamento (sono infatti ultimi per cross in Serie A) per dilatare lo spazio interno e permettere questi continui sovraccarichi vicino alla palla, creando così linee di gioco e disordinando la struttura avversaria. Zirkee è l’unico giocatore che, pur avendo una funzione perimetrale, può anche decidere a volte di muoversi verso palla e sovraccaricare. Questo perché, nonostante siano fondamentali lo spazio
e la linea di gioco creata dal vertice alto, questo vertice può essere ricoperto da un altro giocatore che attacca lo spazio lasciato libero e, per alcuni momenti, è lo spazio stesso a mantenerlo attivo. Un perfetto – e vincente – esempio di mix tra calcio posizionale e relazionale.

Il Bayer (figura 3 sotto) invece parte da un 3-4-2-1 con Grimaldo e Frimpong a fissare l’ampiezza, i difensori centrali che costruiscono dilatando gli spazi e attraendo gli avversari, e i quattro giocatori interni (Palacios, Xhaka, Hofmann e Wirtz) che si muovono liberi, leggendo e interpretando gli spazi, creando densità vicino alla palla per eludere la pressione avversaria. Anche in questo caso abbiamo un giocatore ‘perimetrale’, come il difensore centrale Kossounou, che spesso sale sulla linea dei
centrocampisti e assume funzioni relazionali e spaziali. In entrambi i sistemi l’ampiezza fissata viene utilizzata non soltanto per dilatare l’area dentro alla quale muoversi e sovraccaricare lo spazio vicino alla palla, ma anche per garantire l’attacco del lato debole (in particolar modo nell’ultimo terzo) e per isolare degli uno contro uno (il Bologna stesso è secondo solo all’Inter per passaggi chiave con cambio gioco) a ridosso dell’area avversaria. Si notano chiaramente in queste squadre le diverse funzioni e mansioni dei giocatori perimetrali e dei giocatori spaziali.

Da uno studio dei dati (figura 4 sopra) troviamo inoltre diverse analogie molto significative tra queste due squadre. Sono infatti entrambe nella top 3 dei rispettivi campionati per possesso palla, numero di passaggi totali e per field tilt (il controllo dell’ultimo terzo di campo avversario); hanno valori molto alti in riaggressione, che chiaramente viene favorita dalla densità di uomini vicino alla palla. Attaccano entrambe la linea avversaria con combinazioni nello stretto (entrambe prime per triangolazioni), o isolando degli uno contro uno (entrambe nella top 5 per dribbling vincenti), utilizzando poco i cross (quintultimo il Bayer e ultimo il Bologna).

L’altra squadra estremamente interessante da vedere in questa stagione è stata l’Inter di Inzaghi (figura 5 sotto). Sono veramente pochi i giocatori perimetrali della squadra nerazzurra, forse solo il difensore centrale (Acerbi) e le due punte (Lautaro e Thuram). Possiamo dunque definire il resto dei giocatori ‘spaziali’. Sicuramente alcuni di questi hanno anche funzioni posizionali (come gli esterni e i centrali difensivi), ma spesso le abbandonano per dare vita a interessanti rotazioni con Bastoni, per esempio, che attacca e si alza in massima ampiezza permettendo a Di Marco di venire dentro e attaccare la linea anche da destra. A centrocampo la fluidità e le funzioni sono totali: Calhanoglu, Barella e Mkhitaryan si scambiano posizioni e ruoli costruendo a turno e alzandosi in zona di rifinitura o in attacco linea; si muovono tutti e tre in zona palla, creando grandi zone di densità, e si abbassano al posto dei difensori, che a loro volta si alzano a centrocampo.

Sono tutti movimenti che permettono di garantire maggiore libertà ai propri giocatori, rispettando ed esaltando le loro caratteristiche, e soprattutto permettono di ottenere una contromossa alle difese a uomo e, in generale, alla maggiore attenzione sui riferimenti.
Credo che questi esempi saranno sempre più imitati, in quanto rappresentano la naturale risposta alle ‘nuove’ difese che ormai si vedono in giro per l’Europa. Se questo stile di gioco riuscirà a diffondersi e radicarsi potrà diventare il nuovo modello offensivo egemone così come lo è ora il calcio posizionale (quasi tutte le squadre qualificate ai recenti quarti di Champions League applicavano l’ormai famoso 3-2-5 con i principi classici del calcio posizionale, per esempio).
La diffusione di questo modello stimolerà in futuro nuovamente un cambiamento nelle strutture difensive che, iniziando ad analizzarne pregi e difetti, elaboreranno opportuni aggiustamenti e contromosse, con questa splendida tensione di cui abbiamo parlato che darà vita ad altre incredibili evoluzioni.

CONCLUSIONI
Il più grande esempio di calcio relazionale è stato – insieme al mitico Brasile del Mondiale del 1982, guidato in panchina da Tele Santana – la grande Olanda di Michels, Cruijff e Neeskens. Quella squadra è considerata il genitore nobile del calcio posizionale; ma, allo stesso tempo, l’armonia e l’empatia con cui i giocatori olandesi si
muovevano, scambiandosi ruoli e funzioni in campo, sono ad un livello relazionale mai più visto.
E poco importa che non abbiano poi vinto il titolo mondiale; le emozioni
e gli insegnamenti che ci hanno lasciato saranno eterni.