E’ il solito vecchio Milan

È cambiato l’allenatore, ma la fase difensiva rimane un problema

La fase di non possesso è il tormento del Milan ormai da tre stagioni. L’arma che aveva permesso di arrivare allo scudetto nel 2022 si è trasformata nel più grande punto debole dei rossoneri: transizioni da incubo, difensori molli nei duelli, atteggiamento svagato sulle palle inattive. Anche il nuovo inizio di stagione sta confermando il trend degli ultimi anni, nonostante Fonseca abbia messo in chiaro da subito di voler proporre principi diversi senza palla.

Il Milan nelle prime due gare del 2024/25 ha provato a utilizzare come riferimento la palla, senza grande successo. Ha affrontato due squadre che impostavano in maniera diversa (il Torino con tre difensori e due mediani, il Parma con quattro difensori e uno o due mediani) e lo ha fatto con atteggiamenti diversi (blocco medio-alto contro il Toro, pressing alto contro il Parma) senza ottenere risultati. Detto che è solo fine agosto ed è normale, all’inizio di un nuovo percorso, avere difficoltà del genere, quali sono i problemi del Milan? Cosa non ha funzionato, fino ad ora, con questo nuovo modo di difendere?

I problemi difensivi del Milan insomma sono sia vecchi che nuovi, e da questo punto di vista vale la pena fare una premessa sulle idee di Fonseca e sulle ultime tendenze in Serie A. Il pressing a zona non è nulla di insolito in Europa, in maniera più o meno pura lo usano quasi tutte le squadre che vogliono recuperare il pallone in alto. In Italia, però, è forse dai tempi del Napoli di Sarri che principi difensivi del genere non hanno successo (il Napoli di Spalletti in parte lo faceva, ma in maniera ben più ibrida rispetto a quanto mostrato da Fonseca in queste prime uscite). Nel nostro campionato tutte le squadre che pressavano alto, lo scorso anno, si orientavano sull’uomo: l’Atalanta, la Fiorentina, il Bologna, il Torino, il Milan stesso. Come mai?

Forse è dovuto ai ritmi della Serie A e alle caratteristiche dei giocatori che ci giocano. Agli allenatori italiani piace mantenere il flusso delle partite sotto controllo e il nostro calcio non primeggia per l’intensità dei suoi interpreti. Difendere a zona in maniera più o meno pura, invece, richiede grande disponibilità allo sforzo, soprattutto negli scatti e nei cambi di direzione. Usare il pallone come riferimento significa dover scivolare da un lato all’altro e, in base alle scelte degli avversari, aggiustare la direzione della propria corsa, anche in maniera repentina, per arrivare in tempo sull’avversario coprendo le linee di passaggio o eventualmente portare un raddoppio.

Lo sforzo fisico, ma soprattutto mentale, richiesto da un modo di difendere del genere è diverso rispetto alle marcature a uomo, più immediate nell’individuare il riferimento e in cui ci sono da eseguire meno aggiustamenti durante l’applicazione del pressing.

La difesa a zona ha poco successo in Serie A anche perché è particolarmente all’avanguardia per quanto riguarda la costruzione da dietro. Non c’è squadra, nel nostro campionato, che non cerchi di trarre vantaggio dal possesso basso, che non abbia idea di come fare male agli avversari partendo dal portiere: c’è chi costruisce in maniera insistita sul corto, chi prova a muoversi in ampiezza, chi si affida al gioco lungo. C’è parecchia fantasia tra gli allenatori italiani su come costruire: Simone Inzaghi probabilmente è il migliore al mondo in questo, Conte una garanzia e anche le piccole dicono sempre la loro. È il caso di Torino e Parma, estremamente organizzate e con le idee chiare su come volgere a proprio favore l’atteggiamento difensivo del Milan. Pressare in Serie A, insomma, è difficile per via della preparazione di chi costruisce, e farlo con le marcature a uomo è più sicuro rispetto alla zona, perché si chiudono da subito i riferimenti e si punta sui duelli: rispetto al pressing a zona ci sono meno possibilità di recuperare palla in maniera pericolose e avviare una transizione offensiva, ma d’altra parte si corre un rischio minore di farsi bucare dal possesso avversario. Come sempre, in Italia qualsiasi strumento tattico è pensato per diminuire il rischio.

L’idea di Fonseca era di chiudere inizialmente il centro per spingere il possesso sulla fascia, scivolare verso l’esterno in blocco e recuperare lì la palla. Ma scivolare da un lato all’altro del campo può essere difficoltoso: Torino e Parma lo sapevano e hanno mosso pazientemente il pallone, in orizzontale poi appoggiandosi ai centrocampisti, spostando il possesso da un lato all’altro del campo per trovare l’uomo in ampiezza libero di alzare la testa e costringere il Milan a correre all’indietro.

Contro Torino e Parma, Fonseca ha adottato atteggiamenti diversi, ma il problema di fondo è rimasto simile. Osservate queste due azioni. La prima è tratta dalla gara di San Siro.

Il Milan, per via della presenza di Jović che sarebbe stata troppo limitante nel pressing alto, sceglie di mantenere un blocco medio-alto e di lasciare il possesso ai tre centrali del Toro. Masina batte una rimessa laterale sulla sinistra e la palla arriva al mediano Linetty. Il Milan forse si aspetta un semplice passaggio verso l’esterno, che permetta a Calabria di salire sull’esterno Lazaro. I granata, invece, appoggiandosi ai centrocampisti tornano dal difensore Saúl Coco che apre per il centrale destro Vojvoda, con il Milan costretto a seguire il possesso scivolando.

Leão prima di uscire su Vojvoda deve coprire la linea di passaggio verso il centro, e in questo modo il kosovaro ha il tempo di controllare il pallone e appoggiarsi a Bellanova sulla destra.

Saelemaekers, però, è troppo distante dall’esterno del Toro che, prima che il belga arrivi, ha il tempo di controllare, alzare la testa e servire l’inserimento profondo di Ricci.

Problemi simili si sono presentati anche al Tardini di Parma. Su rimessa dal fondo il Milan pressava alto con un 4-1-3-2, mentre il Parma impostava 4+2: il principio prevedeva che le punte avrebbero aggredito centrali e portiere e l’ala del lato palla esca sul terzino, mentre il trequartista (Loftus-Cheek) e l’ala opposta dovevano accompagnare lo scivolamento.

Guardate per esempio l’azione poco sotto. Le punte pressano il portiere e i centrali, con Leão che dà il tempo al difensore Balogh di allargare sul terzino Coulibaly in fascia, lì dove il Milan vuole recuperare palla. Reijnders, in posizione di ala sinistra in questo caso, scivola sul terzino. Mentre Reijnders si allarga, il mediano Bernabé si alza alle sue spalle, con Loftus-Cheek che lo segue. L’altro mediano, Estevez, viene quindi coperto dal lavoro in sinergia delle punte: Leão che lo scherma abbassandosi e Okafor che lo segue.

Con Leão basso a schermare, però, resta libero il centrale Balogh, da cui Coulibaly può tornare.

Balogh va di nuovo dal portiere e il Parma si appresta a spostarsi sul lato opposto, dove Pulisic è posizionato a metà tra il difensore sinistro Circati e il terzino sinistro Valeri.

Suzuki appoggia comodamente al centrale Circati: se il Milan volesse essere davvero aggressivo ed efficace, Pulisic dovrebbe scalare in avanti su Circati, lasciando il terzino sinistro ad un’eventuale salita del proprio terzino, Calabria, che potrebbe aggredirlo spalle alla porta. Invece il Milan non ha il coraggio di eseguire quella scalata. Così Pulisic rimane sulla linea di passaggio dal centrale al terzino e Circati, dopo aver accennato una conduzione, torna ancora da Suzuki.

La terza volta per il Parma è quella buona. I crociati sono disposti 4+1, il Milan sempre 4-1-3-2: Suzuki viene pressato da Okafor e va dal centrale destro, su cui esce Leão. Intanto Reijnders fa per aprirsi sul terzino del lato, Coulibaly. Il problema, però, è che alle spalle di Reijnders, nel mezzo spazio, si è posizionato Bernabé: per via delle continue scalate il Milan si è smagliato, Loftus-Cheek è rimasto sul mediano Estevez, lontano da Reijnders, e non ha modo di coprire la linea di passaggio per Bernabé o di scivolare in un secondo momento su di lui.

Bernabé può ricevere e girarsi: chi avrebbe dovuto uscire su di lui? Theo è aperto in marcatura sull’ala destra Man, forse Pavlović avrebbe dovuto rompere la linea e aggredire Bernabé di spalle? Oppure Musah avrebbe dovuto seguire i compagni e tamponare su quel lato?

Con le scalate il Milan è rimasto sempre un passo indietro rispetto a dove muovevano il pallone Parma e Torino, a cui è bastato restituire il possesso ai difensori centrali per trovare un’uscita comoda: la coperta, per il Milan, era sempre troppo corta.

Pressare con le scalate in inferiorità numerica non è facile contro squadre che hanno la pazienza di muovere palla in ampiezza. Le scalate a volte sono apparse troppo lunghe da eseguire: pertanto, o si porta pressione con più aggressività su chi ha la palla all’inizio (i centrali), o si aumenta l’intensità della corsa nelle scalate: ritorna il quesito di prima, i giocatori del Milan hanno la disponibilità e l’abilità nel farlo? Tempismo e precisione nel pressing non sono per nulla scontati. E su queste variabili il tempo incide: non è facile né tanto meno immediato allenare nuovi principi, Fonseca da questo punto di vista avrà bisogno di una buona dose di fiducia e fortuna.

Nell’azione del gol dell’1-0 del Parma tutto parte da una verticalizzazione del terzino destro Coulibaly: su quella costruzione Okafor fa una scalata lunghissima dove dapprima copre il mediano, poi esce sul centrale e poi si allarga su Coulibaly, che a quel punto però è libero di passare il pallone. Su Coulibaly in teoria avrebbe dovuto scalare Leão, ma il portoghese arriva in ritardo, nemmeno gli si avvicina: l’attitudine di Leão ha pesato così tanto da impedirgli di scalare? O forse era preoccupato di dover coprire la linea di passaggio per Sohm alle sue spalle?

«La squadra non difende da squadra, ma anche individualmente abbiamo sbagliato i duelli, arrivavamo sempre tardi nelle zone di pressione, lasciavamo sempre spazio all’altra squadra per uscire, le marcature preventive erano sbagliate», ha sintetizzato Fonseca.

Alcuni giocatori, però, il diritto di poter essere meno intensi in fase difensiva se lo sono guadagnato, con pieno merito: Leão su tutti, ma anche Theo. È qualcosa che succede in quasi tutte le grandi squadre, con pochissime eccezioni: i fuoriclasse vengono sgravati di responsabilità difensive.

Detto che quindi non è giusto pretendere da subito da Fonseca e dalla squadra il massimo dell’efficienza, riusciranno i giocatori ad adeguarsi al nuovo modo di difendere?

Fonseca, poi, saprà cambiare le scalate anche per coprire meglio le spalle di chi lancia il pressing? Chi accompagna è importante tanto quanto chi aggredisce in prima linea. A Parma, Musah è stato disastroso in questo senso, ma d’altra parte è tutto meno che un mediano (ma nemmeno Bennacer, Reijnders e Loftus-Cheek contro il Torino sono stati all’altezza). L’ingresso di un centrocampista posizionale come Fofana, in questo senso, dovrebbe aiutare, in primo luogo a tamponare le ricezioni alle spalle di chi pressa.

In ogni caso, per rimanere sulla panchina del Milan, Fonseca dovrà risolvere questi problemi il prima possibile, e la notizia peggiore in questo senso è che sono solo una parte di quelli che stanno affossando la sua squadra in questo momento. Anche nella propria area i rossoneri si sono dimostrati poco efficaci, in alcune occasioni totalmente distratti. In più, la squadra attacca male, di conseguenza perde palla male, con i giocatori (Reijnders soprattutto) che provano a portare palla in assenza di un supporto adeguato: perdere palla in conduzione, con i propri compagni alti e aperti, significa spesso non poter riaggredire e subire una transizione pericolosa. Come ha sottolineato anche Fonseca, poi, il Milan non è stato nemmeno reattivo nel correre all’indietro: per fortuna del tecnico portoghese Pavlović e Tomori hanno già dimostrato di poter mettere pezze con recuperi che pochi altri centrali in Italia può permettersi.

L’allenatore portoghese vuole impostare un modo di difendere insolito per la Serie A, che però è un campionato celebre per divorare chi non si adegua alle sue leggi. Chi riuscirà ad averla vinta, alla fine? Fonseca riuscirà a modellare il Milan come vuole o basteranno le qualità individuali di Fofana, Pavlović e Tomori a risolvere i problemi? Sabato i rossoneri affrontano la Lazio e avremo le prime risposte a queste domande.