La costruzione dal basso è l’arma segreta dell’Inter
La squadra di Simone Inzaghi conosce tantissimi modi, sempre diversi e imprevedibili, per iniziare le sue azioni.
Contro il Monza, l’Inter ha mostrato i propri limiti. La squadra nerazzurra è apparsa lenta, prevedibile, priva di spunti. Non è riuscita a fare a meno di alcuni dei giocatori chiave del suo sistema, come Bastoni, Barella e Calhanoglu. Ha lasciato ai tifosi una vivida sensazione di déjà-vu, come se fossero ritornati indietro all’inizio della gestione del tecnico di Simone Inzaghi, quando partite del genere erano piuttosto frequenti. Eppure, nell’ultima stagione e nelle prime gare di quest’anno, l’Inter aveva mostrato ben altro. Soprattutto nella primissima fase delle sue azioni, in quelle costruzioni dal basso che sono la grande risorsa creativa e innovativa della squadra nerazzurra. E del suo allenatore, naturalmente.
Negli ultimi anni, infatti, Simone Inzaghi sta trasformando la costruzione bassa in un qualcosa di più profondo di una semplice strategia tattica, di uno strumento per squarciare le linee avversarie: l’ha fatta diventare il proprio laboratorio, un luogo dove regnano complesse formule matematiche da cui traggono origine nuove invenzioni. Così, dopo tre anni di grandi vittorie e grandi sconfitte, l’Inter è diventata una delle squadre più imprevedibili d’Europa. Anche per questo la prestazione contro il Monza è stata una sorpresa, ovviamente in negativo.
Il paradosso della squadra nerazzurra è che nell’era in cui nella nostra Serie A è sempre più necessario saper invertire la trama di gioco con azioni improvvise ed estemporanee rendendo imprescindibili i giocatori che sanno scombinare le linee, l’Inter è la squadra di Serie A che ha tentato meno dribbling nelle ultime tre stagioni, almeno secondo i dati rilevati da Opta. Eppure si tratta della stessa Inter che ha vinto due volte la Coppa Italia, tre volte la Supercoppa e che ha dominato la Serie A 23/24.
Come fa l’Inter allora ad essere una squadra imprevedibile, pur non avendo dribblatori in rosa? L’imprevedibilità dell’Inter ha un’altra natura, nasce da una fase di costruzione sofisticata, da un intricato sistema di movimenti coordinati che trascina gli avversari in uno stato di smarrimento. Come sperimentato da un ex giocatore nerazzurro, Raoul Bellanova, al 52esimo minuto nella sfida contro l’Atalanta: il terzino della Nazionale si è trovato a sbracciare desolato, intrappolato dall’entrata di Dimarco in mezzo al campo, nella zona svuotata da Barella, Calhanoglu e Mkhitaryan, retrocessi per iniziare l’azione.
Bellanova, semplicemente, non sa chi e come deve marcare. Pochi istanti dopo, Acerbi si lancia palla al piede in una porzione di campo lasciata scoperta dai giocatori dell’Atalanta. Oppure, per dirla meglio: liberata dai movimenti di quelli dell’Inter.
Il principio è chiaro: ogni movimento di un giocatore dell’Inter esiste esclusivamente in relazione a quello di un altro compagno. Rispetto alle stagioni precedenti, oggi la costruzione dal basso della squadra di Inzaghi ha a disposizione molte più combinazioni. Per esempio, nei primi quindici minuti travolgenti contro l’Atalanta, l’Inter ha creato quattro azioni partendo dalla propria area. E lo ha fatto iniziando sempre con sistemi diversi, manipolando così le marcature a uomo della squadra di Gasperini.
Il primo gol di Thuram, per intenderci, nasce con un 3+2 in costruzione, con Acerbi, Calhanoglu e Barella posizionati dietro a Bastoni e Mkhitaryan, pronti a tracciare linee verticali o creare combinazioni rapide con gli esterni; nel frattempo, Pavard è l’uomo più avanzato, di fianco a Lautaro. Poco dopo, l’Inter inizia con una linea a 4 (Dimarco, Acerbi, Pavard, Darmian), mentre Bastoni, come nella situazione precedente aveva fatto Pavard, si ritrova nella metà campo offensiva, pronto ad attaccare i mezzi spazi, obbligando l’Atalanta a disordinare le sue marcature.
Nel corso della gara contro l’Atalanta, i giocatori di Inzaghi hanno scardinato la struttura avversaria cambiando costantemente la propria posizione, svuotando e riempiendo il campo a proprio piacimento. Tutti, dai difensori agli attaccanti, hanno ricoperto svariate funzioni, adattandosi a spazi e tempi di gioco sempre diversi. Solo in questo modo, grazie al massimo contributo collettivo, sono riusciti a creare infinite opportunità per superare la pressione, stupendo gli avversari. Così, l’Inter sorprende in maniera atipica: sembra che lo faccia con la palla, ma in realtà lo fa con i movimenti. Rimediando alla carenza di dribblatori.
Quella di Inzaghi è una proposta ambiziosa, che richiede un livello di sintonia e conoscenza eccezionale tra i diversi calciatori. Questa chimica è stata chiaramente raggiunta, ed è figlia di una crescita progressiva iniziata meno di due anni fa, quando si pensava che Inzaghi fosse destinato all’esonero. Temporalmente siamo nel marzo 2023, dopo la partita contro il Porto, e quel fluido non si è ancora interrotto. Da allora i nerazzurri non si sono mai fermati, nel senso che hanno continuato a evolversi, a diventare più fluidi. Il problema di questo approccio, se vogliamo, è che Inzaghi si è concentrato solo su un gruppo ristretto di giocatori, dando vita a un undici titolare praticamente inamovibile. Quando in campo devono andarci o comunque ci vanno le alternative, come visto nella partita di Monza, le cose cambiano. In fondo è fisiologico, per chi gioca meno, trovarsi in difficoltà dentro un sistema di gioco così particolare.
L’Inter è una squadra all’avanguardia. Il sistema di Inzaghi non si riduce a giocate codificate: è una sintesi dei principi del calcio posizionale e di quello relazionale, mischiati in un gioco iper-fluido. Partendo da posizioni prestabilite ma facilmente intercambiabili, l’Inter di Inzaghi tenta di occupare specifiche zone del terreno di gioco per creare superiorità numerica o spazio da attaccare, sviluppando l’azione tramite le interpretazioni dei giocatori. In questo modo si determina la migliore situazione possibile per gli attaccanti, pronti ad associarsi in campo aperto.
Insomma, l’Inter vive di finti automatismi, di codici aperti che i giocatori devono interpretare. Per esempio Barella, pur partendo spesso dallo slot di terzino destro, si ritrova poi a vagabondare per la seconda metà di campo. Bastoni e Pavard, ancora di più in quest’inizio campionato, offrono varietà alla manovra offensiva, non solo con sovrapposizioni interne o esterne, ma anche muovendosi liberi in zona di rifinitura, lasciando il compito di costruire l’azione ai compagni. Dimarco, infine, si aggiunge alla linea d’attacco o di centrocampo a seconda del momento.
Per Inzaghi lavorare su una costruzione dal basso ricercata e imprevedibile non è né un’ossessione, né un rigurgito di narcisismo: è semplicemente il suo modo d’intendere il pallone, di creare un sistema complesso che si sposa con le qualità della rosa, aumentandone l’imprevedibilità. In un contesto del genere, la bravura nelle due fasi di Calhanoglu e quella in rifinitura di Dimarco vengono esaltate; così come la qualità in progressione di Acerbi e Mkhitaryan, insieme all’equilibrio tattico di Darmian, diventano fondamentali. Allo stesso modo, i giocatori meno adatti a una gestione più elaborata, come Frattesi e Dumfries, acquisiscono importanza da invasori nelle partite più atletiche.
L’obiettivo finale di Inzaghi deve essere quello di trasmettere i suoi principi a più giocatori, permettendo all’Inter di allargare maggiormente le rotazioni all’interno della sua rosa. Un percorso inevitabile per i nerazzurri per poter dire la loro anche nella nuova Champions League.