Sta nascendo un nuovo prototipo di difensore italiano

Calafiori, Bastoni, Scalvini, Buongiorno e non solo: si tratta di centrali efficaci, ma con spiccate doti offensive.

Il gran gol segnato da Riccardo Calafiori al 22simo minuto di Manchester City-Arsenal è chiaramente l’inizio di un qualcosa di bello. O meglio: è la naturale e auspicata prosecuzione di un qualcosa di bello iniziato tre mesi fa, agli Europei, quando Calafiori ha permesso alla Nazionale azzurra di superare la fase a gironi con una progressione dirompente conclusa con un assist dolcissimo, il tutto al minuto 97′ della sfida contro la Croazia. Per un difensore, quel tipo di azione personale, una volta, sarebbe stata un’eccezione. Ma ora non è più così: lo stesso gol di Calafiori contro il Manchester City è anche l’apice, si può dire il punto di arrivo, di un lungo percorso. Di un percorso strettamente personale, cioè che riguarda la crescita clamorosa vissuta da Calafiori nell’ultimo anno e mezzo, ma anche di un processo evolutivo decisamente più sfaccettato, più trasversale: quello che coinvolge l’intera categoria dei difensori, le loro attribuzioni, le loro inclinazioni fisiche e tecniche.

Da anni, ormai, si parla di un nuovo prototipo di difensore. Forse sarebbe meglio dire che si discute di un nuovo prototipo di difensore, nel senso che la nascita e l’affermazione di diversi modelli tattici basati sul possesso palla hanno influito in modo evidente sulle caratteristiche fisiche e tecniche di chi gioca nel reparto arretrato, e non tutti hanno apprezzato questa metamorfosi. Se volessimo condensare tutto in poche parole, in frasi semplici e alla portata di chiunque, si potrebbe dire che oggi un difensore di alto livello non può limitarsi a essere un grande marcatore e a fare bene la tattica del fuorigioco e le coperture preventive, ma deve saper controllare e smistare il pallone con una certa qualità.

A partire da questa nuova condizione, inevitabilmente, si sono originati diversi e ulteriori processi evolutivi: i difensori – centrali o laterali, non importa – hanno iniziato a muoversi in modo sistemico verso altre zone del campo, in modo da creare maggior densità in fase di costruzione, rifinitura e finalizzazione della manovra. Soprattutto in Italia, poi, abbiamo assistito anche al cambio di prospettiva sulla difesa a tre: fino a qualche anno fa gli allenatori innamorati di quel sistema erano considerati degli inguaribili speculatori, visto che la presenza di un terzo difensore centrale e di due esterni a tutta fascia, volgarmente detti quinti di centrocampo, era una garanzia di un atteggiamento quantomeno accorto, a volte smaccatamente contenitivo. Oggi le cose stanno in maniera diversa, anzi la difesa a tre è diventata un punto di partenza per sviluppare dei sofisticati meccanismi di risalita dal campo, oppure per dei sistemi di marcature iper-aggressivi, quindi iper-offensivi.

È proprio in questo contesto magmatico che sono venuti fuori dei difensori non solo multitasking, ma con spiccate ed evidenti qualità offensive: sono centrali utilizzabili anche sull’esterno e/o che si trasformano in terzini d’assalto quando la situazione lo richiede, sono centrocampisti o anche attaccanti aggiunti in fase di possesso. Sono, molto semplicemente, delle fonti di gioco offensivo. E prima che qualche nostalgico alzi la mano per segnalare come tutte queste novità finiscano per inficiare il puro rendimento arretrato, l’efficacia nei duelli corpo a corpo, nelle marcature, nelle coperture preventive, ci sono delle prove a supporto del contrario: potremmo citare il rendimento di fuoriclasse riconosciuti come Van Dijk, Rúben Dias e Rüdiger.

Insieme/accanto a Calafiori, si sta affermando una generazione di difensori dal profilo ultramoderno, si può dire anche post-contemporaneo. Sul mercato estero si possono citare Hincapié, White, Colwill, Cuenca, ma bisogna guardare soprattutto all’Italia: il capostipite della nuova setta è certamente Alessandro Bastoni, ma anche Scalvini, Buongiorno e Okoli possono essere considerati come dei centrali spendibili anche in attacco. Con modalità diverse, perché diverse sono le loro caratteristiche: Bastoni è abilissimo nelle sovrapposizioni – sia interne che esterne – sulla sinistra, e grazie all’intesa costruita con Dimarco è diventato un vero e proprio terzino-rifinitore aggiunto; Scalvini ha doti anche da mediano, da costruttore di gioco puro, mentre Buongiorno non sarà raffinatissimo in conduzione, ma è un incursore di grande impeto, e infatti le sue discese in avanti creano spesso superiorità numerica nella metà campo avversaria, adesso anche nel nuovo Napoli di Conte; pure a Okoli piace molto aggregarsi ai compagni degli altri reparti dopo aver risalito il campo palla al piede, solo che il suo incedere è meno irruente, le sue progressioni trovano sfogo soprattutto come passaggi sull’asse verticale, verso le punte.

Da quando è approdato all’Inter, cioè dal 2019 a oggi, Alessandro Bastoni ha messo insieme 206 presenze e quattro gol in partite ufficiali.

In virtù di tutto questo, non a caso viene da dire, persino un allenatore come Spalletti – un fanatico idealista dell’impostazione dal basso – ha annunciato ufficialmente che la ricostruzione dell’Italia non può prescindere dalla difesa a tre. Non è una scelta regressiva in senso difensivo, né in linea con la tradizione, piuttosto è un adattamento del commissario tecnico al materiale che ha a disposizione: la presenza di certi giocatori garantisce un certo grado di qualità e di sofisticatezza nell’uscita del pallone, e i primi frutti di questo cambiamento si sono visti già contro Francia e Israele, per altro con cinque centrali diversi – Bastoni è stato l’unico ad aver cominciato entrambe le partite, accanto a lui si sono alternati Calafiori, Di Lorenzo, Buongiorno e Gatti.

Ma, come detto, non è solo una questione di passaggi, di contributo alla prima costruzione: i nuovi difensori italiani hanno una spiccata attitudine per movimenti sempre più profondi e sempre più diversificati, si affiancano sempre più spesso ai centrocampisti per aprire linee di passaggio e poi continuano a risalire il campo fino a invadere la trequarti avversaria. È un qualcosa di diverso rispetto alle corse palla al piede dei vecchi liberi, a quelle giocate che hanno reso modernissimi, quindi unici, i vari Beckenbauer, Scirea, Baresi: quelle erano delle percussioni che in qualche modo ribaltavano velocemente il fronte d’attacco, lanciavano i contropiede, sfruttavano gli spazi lasciati degli avversari. Ora i difensori portano e/o smistano palla per crearli, quegli spazi. E lo fanno in modo sistematico, codificato, anzi gli allenatori partono proprio da certe situazioni per mettere a punto i loro meccanismi tattici.

Ecco, questa è la chiave di tutto: se da anni, ormai, i centrali sono ormai protagonisti della costruzione dal basso, della prima parte della manovra, ora c’è una nuova tendenza per cui le loro attribuzioni, le loro funzioni, sono sempre più varie. Nel senso che sono delle armi offensive vere e proprie, armi che vengono sfoderate a intervalli regolari, anzi sempre più frequenti. E quando la palla è in movimento, non solo sui calci da fermo – come avveniva un tempo. Il fatto che l’Italia sia un po’ l’epicentro di questa trasformazione, in qualche modo, può e deve inorgoglire. Il fatto che Scalvini, Buongiorno, Bastoni e Calafiori siano considerati dei grandi difensori, anche e soprattutto a livello internazionale, ci dice che abbiamo un sistema ancora in grado di produrre delle novità e dei talenti. Non è poco, non è scontato. Non lo è mai, figuriamoci in quest’era non proprio dorata, per il nostro calcio.