Il calcio, una visione d’insieme
Un approccio olistico alla disciplina e le ripercussioni sul movimento giovanile
Il calcio è una perfetta analogia della vita, uno sport che accompagna la nostra – continua – evoluzione scientifica e tecnologica.
I numerosissimi appassionati e la grande attrazione che il calcio suscita ad ogni latitudine hanno fatto sì che fossero molte le persone ad addentrarsi nella pratica e nello studio di questa disciplina, alla ricerca di quelle strategie – tattiche, metodologiche, comunicative e gestionali-organizzative – migliori, quella formula assoluta e standardizzata in grado di rivelarsi sempre efficace indipendentemente dal contesto in cui si opera.
In questo momento siamo immersi in un dibattito che imperversa tra i sostenitori
del ‘calcio diretto’ e il ‘palleggio’; se utilizzare le metodologie provenienti dall’atletica leggera, le prime ad essere utilizzate e riadattate alle esigenze calcistiche secondo quello che è il ‘metodo tradizionale’, o se iniziare ad esplorare la metodologia moderna frutto delle nuove scoperte neuroscientifiche degli anni ‘90, ovvero il ‘metodo integrato’. Sono tutte strategie che, tuttavia, non ritrovano una posizione primeggiante: sono infatti numerosi i tecnici che hanno raggiunto prestigiosi traguardi con approcci differenti, a volte anche discordanti.
Il calcio è un sistema complesso, ovvero, come definito dalla Treccani, “un insieme di elementi variabili e fortemente interconnessi anche nella loro evoluzione temporale, sicché la conoscenza singola d’ognuna non è sufficiente a stabilire l’evoluzione complessiva del sistema”.
Nello specifico può essere considerato come l’insieme di sei macro-aree: Tecnica-Tattica, Metodologia, Psicologia, Gestione-Organizzazione, Comunicazione e
Fattori ambientali. Tutte queste macro-aree presentano moltissimi elementi specifici
che sono interconnessi non solo con gli altri elementi appartenenti alla stessa area, ma anche con ulteriori elementi delle altre macro-aree, a dimostrazione di quanto il sistema sia fortemente complesso, dinamico e indeterminabile.
La dinamicità è data dal fatto che ad una piccola variazione, il sistema muta: il cosiddetto ‘butterfly effect’, ovvero quando piccole variazioni iniziali possono produrre grandi mutazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema.
L’indeterminabilità è invece conseguenza dei numerosi ‘nodi’ (ovvero i punti di contatto tra i vari insiemi rappresentanti le diverse aree) che non permettono di prevedere quali possano essere gli sviluppi degli eventi (basti pensare ad un infortunio o ad un’espulsione).
Deve essere inoltre specificato come alcuni elementi variabili possano rientrare in più macro-aree. Ad esempio, la suddivisione del lavoro dello staff per la seduta dell’allenamento rientra sia in Metodologia, Gestione-Organizzazione e Comunicazione, ma allo stesso tempo possiamo ben comprendere come Fattori Ambientali quali la disponibilità del campo, le qualità della rosa per la parte Tecnica-Tattica o l’umore dello spogliatoio nella Psicologia, possano influenzare gli approcci da adottare.
L’allenatore, pertanto, può essere definito come un ‘ricercatore empirico’ in quanto il suo agire, supportato anche dalle conoscenze scientifiche e teoriche, deve essere fondato sulle capacità di osservazione e di adattamento, finalizzate al raggiungimento e alla massima espressione del potenziale del sistema complesso calcio in cui è immerso. La sua bravura sarà quella di possedere un approccio insiemistico-ecologico nel quale è in grado di studiare le parti senza scinderle mai dal tutto. A tal fine il suo operato cercherà sempre di ricavare approcci irripetibili, vista l’unicità della forma che assume il gioco di volta in volta.
Una considerazione fondamentale va posta sulla ridondante comparazione tra i ‘giocatori del parchetto di un tempo’ e i ‘ragazzi di oggi’. Una volta si giocava maggiormente a calcio, in termini sia quantitativi che qualitativi: i bambini avevano la possibilità di compiere esperienze specifiche di gioco (la partita) e aumentare le proprie abilità, grazie alla costante e abbondante pratica.
La ‘piazzetta’ era pertanto il luogo principale della formazione di calciatori ‘funzionali’,
ovvero di giocatori in grado di trovare soluzioni efficaci in qualsiasi posizione del campo e in qualsiasi fase di gioco. La componente psico-socio-educativa veniva definita e ‘inquadrata’ successivamente nei club, dando vita così a giocatori ‘di qualità’. Oggi la modernità ha fatto scomparire quasi del tutto il tempo e lo spazio dedicato a questo percorso ‘anarchico organizzato’, sostituito e sovrastato dalle Scuole Calcio e dalla tecnologia, un percorso guidato nel quale la qualità deve essere valorizzata e la quantità ben gestita.
Ricavando alcuni semplici dati, infatti, presso le Scuole Calcio dilettanti si svolgono, all’incirca, dalle tre alle quattro ore e mezza di allenamento settimanale; considerando dieci mesi di attività, si raggiungerebbe un totale compreso tra le 120 e
180 ore per stagione sportiva. Se convertito in giorni (da 24 ore), pari a 5/7,5 giorni su 300. Nel Settore Giovanile e nelle prime squadre Dilettanti il tempo dedicato alla pratica oscilla tra le quattro ore e mezza e le sei ore circa, per un totale tra 180 e 240 ore, ovvero tra i 7,5 e i 10 su 300 giorni. Alcune realtà professionistiche riescono a svolgere invece, dieci ore settimanali, pari a cinque allenamenti da due ore ciascuno, per un totale di 400 ore a stagione (16,5 giorni su 300).
Oltre ad un’immediata comprensione della distanza tra il quantitativo di tempo tra le realtà professionistiche e i dilettanti, lo squilibrio si evince tra il ‘bambino della strada’ che era in grado di raggiungere la stessa quantità di tempo di pratica di un mese di un ‘bambino d’oggi’ con solo due settimane circa di gioco in piazza (bastava una sola ora al giorno per raggiungere le 12 ore mensili attuali).
In una forma darwiniana, l’allenatore deve riuscire ad adattarsi alle esigenze del contesto, massimizzando il poco tempo necessario per la formazione del ‘giocatore di qualità’, ovvero l’unione tra il giocatore ‘funzionale’ e la ‘persona di valori’. Il suo approccio deve pertanto focalizzarsi sulla crescita completa del ragazzo, riconoscendone le qualità e le potenzialità, senza mai ricadere nella stereotipizzazione del calciatore, ma aumentandone l’efficacia delle soluzioni (l’estetica calcistica è relativa, a differenza dell’efficacia), evitando lo sfruttamento dei momentanei vantaggi che le fasi di accrescimento possono garantire. Il ragazzo dovrà terminare il suo percorso di formazione calcistica diventando funzionale al gioco, ovvero ritrovando soluzioni efficaci in qualsiasi parte di campo, in qualsiasi fase di gioco e in riferimento a qualsiasi modello di gioco (deve pertanto riconoscere e compiere tutti i principi di gioco nelle varie fasi); dovrà inoltre mostrare qualità come il rispetto, l’impegno, la perseveranza, la ricerca del miglioramento, il saper vincere e perdere, la responsabilità e il saper collaborare con la squadra.
Nella tabella illustro quali sono gli obiettivi da perseguire con i ragazzi in una corretta progressione metologica. Da notare che sono inseriti gli obiettivi ‘generali’ tecnico-tattici e psico-socio-educativi, senza quindi considerare nel dettaglio la componente, ad esempio, atletica-motoria in quanto ‘integrata’ e sottointesa nell’applicazione del gioco e nell’individualizzazione del percorso: postura e corsa sono aspetti ‘motori’ compresi nel duello.

Il poco tempo a disposizione, pertanto, richiede una necessaria priorità da dare alla conoscenza e all’esperienza del gioco, tale che l’individualizzazione del percorso
avvenga all’interno del contesto globale (obiettivi tecnico-tattici e psico-socio-educativi specifici per ogni ragazzo).
Resta la capacità di osservazione e la capacità di adattamento di ogni allenatore per trovare i giusti approcci tali da far tendere il sistema complesso alla sua massima espressione, incentrata sulla formazione di giocatori di qualità.
Tra i vari approcci, si può adottare il ‘gioco a funzione’ in un’ottica insiemistica-ecologica.
Questo è costituito da tre regole fondamentali, e permette di formare giocatori ‘funzionali’ e di poter attuare interventi individualizzati finalizzati allo sviluppo delle qualità tecnico-tattiche individuali e psico-socio-educative:
· in fase di possesso si costruisce in ‘due più il portiere’. Non importa in quali modi si esca dalla prima costruzione (considerata come la sotto-fase di possesso palla nella quale si ricerca il superamento della prima linea di pressione avversaria),
l’esperienza è completamente libera e le soluzioni ricavate direttamente da chi gioca: tramite palleggio, uscita in conduzione (anche del portiere), dribbling, verticalizzazione. Dipende dalla situazione e dall’esperienza dei giocatori;
· in fase di possesso si rispetta la ‘regola del traffico’. Il traffico rappresenta la zona
di densità, ovvero la parte di campo dove vi è il maggior numero di giocatori. Solitamente corrisponde alla zona con la palla. Tale regola vuole enfatizzare che il pallone, per essere più facilmente mantenuto in possesso, deve stare ‘fuori dal traffico’, conseguendo a differenti soluzioni (la palla viene condotta via dal traffico o si cerca un giocatore fuori dal traffico);
· in fase di non possesso si effettua ‘l’uno contro uno’. Rispettando le precedenti due regole, ogni azione presenterà dinamiche sempre differenti tali da poter garantire dei duelli in zone diverse di campo. Il duello viene svolto con l’avversario più vicino con palla o senza palla. Tale regola permette, inoltre, di poter apprendere la collaborazione tra compagni.
Il ‘gioco a funzione’ può essere considerato un modello di gioco semplice, basato su tre regole che permettono lo sviluppo globale del giocatore. Tale strategia consente di far compiere esperienze ‘libere ma guidate’ contemporaneamente, così come avveniva al calcio del ‘parchetto’; garantisce un’autorganizzazione nella quale vi è la
possibilità di avere differenti esperienze di gioco.
Il calcio in Italia, pertanto, non è in rovina. La figura dell’allenatore, quale ‘ricercatore empirico’, deve tuttavia, sapersi sempre adattare, comprendendo la complessità del sistema e le relazioni tra i singoli elementi variabili, cercando sempre nuovi approcci unici e tali da poter far esprimere le massime potenzialità dei giocatori. Le certezze e gli assolutismi devono quindi
lasciare spazio alle incertezze, all’indeterminabile, alle probabilità e alla continua ricerca.