Aleksander Ceferin, UEFA-Präsident; Porträt, Einzelbild

Quando il calcio del popolo è dalla parte dei potenti

Come in politica e in economica, anche nel calcio e nello sport, l’Europa è sempre più stritolata fra lotte di potere che non capisce o finge di non vedere. E mentre la UEFA mette tutta sè stessa nel contrastare fantomatiche Superleghe (vedremo quando avrà tempo di esprimersi sul tema la Corte di Giustizia Ue) bloccando la crescita del calcio continentale, anzichè battersi per aumentare i ricavi e stabilire criteri più equi e democratici nell’organizzazione delle competizioni, le Superpotenze globali conquistano centimetro dopo centimetro il nostro territorio e i nostri valori.

Uno dei principali obiettivi della Uefa è, o quanto meno dovrebbe essere, l’essere in grado di offrire competizioni sane ed equilibrate sotto il profilo finanziario. Prima del tentato golpe della Superlega, il club principale nel mirino della Uefa era il Manchester City, sospettato di mascherare finanziamenti azionari da parte dell’Emirato di Abu Dhabi come contributi di sponsorizzazione. La forte impennata dei ricavi del City aveva consentito alla società di aumentare gli stipendi e intervenire pesantemente sul mercato senza generare perdite particolarmente cospicue. In poche parole, secondo la Uefa il Manchester City barava per aggirare il FFP e pertanto andava escluso dalle competizioni internazionali. Non è andata così, perchè il CAS, la Corte di Arbitrato dello Sport, ha premiato il ricorso del City stabilendo, nel 2020, che non esistevano prove sufficienti per sostenere la tesi della Uefa. I dubbi però sono rimasti, rinforzati lo scorso febbraio dall’apertura di un’indagine della Premier League su oltre cento presunte violazioni finanziarie commesse dal City tra il 2009 e il 2018. Gli esiti di questa nuova procedura non sono ancora noti.

Nel suo European Club Footballing Landscape, la Uefa ha riportato che dal 2012 al 2022 il numero di società appartenenti a gruppi che possiedono quote, di maggioranza o minoranza, in due o più club è salito da 40 a 180, con una decisa predominanza di investitori americani. Si stima che circa 6.500 giocatori nel mondo si trovino sotto contratto con club appartenenti a questa struttura di investimento trasversale. Sembra una sorta di sistema feudale calcistico, dove la piramide imperatore-vassallo-valvassore è sostituita da quella composta da holding/azienda/fondo sovrano-squadra-giocatore. Un sistema al quale l’Uefa non sembra avere idea di come reagire, viste le dichiarazioni ambivalenti del presidente Ceferin, che ha parlato della necessità di ripensare le attuali regole. Ciò può avvenire sia in senso stringente, ma forse andava fatto anni fa e non nella fase di massima impennata delle multiproprietà, oppure optando per una sorta di liberi tutti, anche nelle competizioni europee, stoppando solo i casi più sfacciati e clamorosi.

Una mappa dei multiproprietari non può che iniziare dal City Football Group, multinazionale britannica dall’emiro Mansur bin Zayed Al Nahyan, che attualmente detiene le quote di 12 club sparsi tra Europa, Asia, Oceania, Nordamerica (il New York City rivale del Red Bull New York) e Sudamerica, ai quali vanno aggiunte altre tre società con il quale opera in rapporto di partnership. Tra i club europei, il CFG controlla Manchester City, Girona, Troyes, Lommel e, ultimo arrivato nel gruppo, Palermo. A quota 7 club ci sono due holding americane: la 777 Partners, nel cui portfolio figurano Hertha Berlino, Genoa, Siviglia, Standard Liegi, Red Star Parigi, Vasco Da Gama e Melbourne Victory; e il Pacific Media Group che, in collaborazione con il New City Capital fondato dal sino-americano Chien Lee, possiede Barnsley, Esbjerg, Nancy, Ostenda, Thun, Den Bosch, Kaiserslautern. Le prime tre società citate sono tutte retrocesse la passata stagione, mentre le altre, con l’eccezione dell’Ostenda, militano già in seconda divisione.

L’Arabia Saudita, sempre più vicina a visioni autocratiche come quella della Russia e della Cina (e ai loro interessi economici e geopolitici) si sta accaparrando lo sport globale: hanno tentato con la Formula 1, si sono presi il golf, ora assaltano il calcio sotto varie forme.

Hanno infinite risorse messe a disposizione del Newcastle e dei 4 club di Riad e Gedda appena entrati nell’orbita di Pif (oltre 400 miliardi di patrimonio) che ha cominciato a rivolgere le proprie attenzioni alla Saudi Pro League, entrando con importanti partecipazioni nei quattro maggiori club del paese: Al-IttihadAl-AhliAl-Hilal e Al-Nassr. Società che stanno salendo alla ribalta ingaggiando a cifre faraoniche alcuni campioni del calcio europeo, da Cristiano Ronaldo (trasferitosi a stagione in corso, durante il Mondiale in Qatar, dopo la rescissione del suo contratto con il Manchester United) a Karim Benzema fino a N’Golo Kantè. Il PIF però ha interessi anche nel Chelsea, e qui si è generato il cortocircuito che sta creando polemiche in Inghilterra, visto che i Blues sono in trattativa con squadre saudite per le cessioni di alcuni elementi della propria rosa che sembrerebbero non rientrare più nei piani del nuovo tecnico Mauricio Pochettino. Giocatori quali Hakim ZiyechEdouard Mendy e Kalidou Koulibaly che, indipendentemente dal prezzo del cartellino concordato, rappresentano un costo gravoso per le casse societarie del Chelsea, ma allo stesso tempo sono quasi impossibili da piazzare, se non alle solite 4-5 squadre dell’elite europea, proprio a causa dell’elevato stipendio. Il PIF è uno dei 300 investitori che ha affidato la gestione di una parte dei propri fondi alla Clearlake Capital, società americana di private equity che ha impegnato circa 3 miliardi di euro, sui 5 complessivi, nell’operazione che ha portato Todd Boehly all’acquisto del Chelsea.

Ci sono delle precisazioni da fare: il PIF investe nella Clearlake Capital dal 2006, quindi molto prima dell’interesse dei sauditi per il calcio. Fatti noti già oggetto di indagine da parte della Premier League un anno fa quando i sauditi erano alle prese con l’acquisizione del Newcastle, conclusasi con un parere positivo: nessun conflitto di interesse riscontrato. Non esistono invece certezze sull’entità dell’investimento del PIF nella Clearlake Capital, visto che uno dei tratti distintivi delle società di private equity riguarda la tutela della privacy di chi investe. L’unico dato certo è che nessuno di essi può detenere più del 5% del capitale della società. Considerando che la Clearlake Capital gestisce circa 60 miliardi di sterline in attività per conto dei citati investitori, qualche ipotesi sul “peso” del PIF può anche essere fatta. Soprattutto però, rispetto a dodici mesi fa, è mutata la situazione, visto che adesso il Chelsea si trova a trattare con una ricchissima controparte di proprietà di uno degli azionisti della sua proprietà. E visto che i Blues sono già partiti alla grande sul mercato, sborsando 65 milioni di euro al RB Lipsia per Christopher Nkunku, le operazioni di alleggerimento delle spese si rendono sempre più necessarie.

Gli arabi hanno inoltre acquisito i diritti della Supercoppa spagnola e italiana imponendo un nuovo format. L’anno prossimo ospiteranno il mondiale per club vecchia maniera e si preparano al nuovo mondiale per club a 32 che dal 2025 la Fifa ha preparato. Anche se rinunceranno alla candidatura della Coppa del mondo per nazionali nel 2030 (avrebbero solo 6 anni per costruire nuovi stadi, mentre il Qatar ne ha avuti 12), ci proveranno nel 2034, è solo questione di tempo.  I rumors parlano del piano di una Superlega araba e poi chissà che altro.

Questo processo forse non è ineluttabile, ma gli arabi possono riuscire laddove i russi e i cinesi hanno fallito: instaurare un’egemonia economica sullo sport più amato al mondo. E attraverso le vittorie dirette e indirette non solo ripulire la loro immagine e legittimare il potere del principe Mohammad bin Salman, ma edificare un nuovo modello di società basato sull’autocrazia e su libertà limitate concesse per volontà del sovrano.

So che appaiono prospettive quasi da filmografia distopica, ma ignorare questi dati sarebbe un atto di colpevole ignoranza. O di condiscendenza o in estrema ratio di complicità. Scegliete voi. Ma è questo purtroppo l’atteggiamento delle istituzioni calcistiche. Che fingono di voler proteggere il calcio del popolo, il calcio dei tifosi, mentre intraprendono guerre sante contro nuovi format e richieste di libertà commerciale dei club. E inoltre per tenere i cordoni della borsa sempre più stretti, e consolidare il loro status, si sono alleate proprio con coloro da cui dovrebbero guardarsi. La Fifa di Infantino sponsorizza la crescita dell’Arabia saudita, la Uefa di Ceferin ha in AL Kelaifi e nel Qatar un sostegno formidabile.

Se l’unica forma di resistenza, almeno in apparenza, l’hanno messa in campo gli Stati Uniti con la Major League soccer che si è assicurata Lionel Messi e con gli oltre 60 club europei acquistati da fondi o imprenditori americani anche in vista del mondiale del 2026 c’è molto da riflettere. Anche se il caso Chelsea insegna che tra arabi e americani possono esserci anche legami e non è da escludere che tra Superpotenze globali ci si metta d’accordo.

Buon per Tonali, Benzema e Ronaldo, ma davvero vogliamo svendere così il calcio, lo sport che amiamo e che costituisce una parte essenziale della nostra identità europea e nazionale?